End of Waste, economia digitale e green jobs: 3 concetti per chiudere il cerchio dell'economia circolare!
- by Greenthesis Group
- 17 mag 2021
- 2352 Visualizzazioni
Le prime tre fermate di questo viaggio alla scoperta del libro “Tutto Ruota”, edito da Guerini e Associati, scritto da Luciano Canova e Fabrizio Iaconetti e promosso da Greenthesis Group, hanno avuto come focus quello di fornire la base teorica per ripensare l’intero modello produttivo con una mente diversa, più aperta. Ora, però, è il momento di entrare nel vivo dei processi di circolarità a partire da dove ci siamo lasciati: l’avvento dell’End of Waste Era.
Nei prossimi paragrafi, prendendo le mosse proprio dal concetto di End of Waste, approfondendolo con alcuni esempi concreti, passeremo a dare risalto alla digitalizzazione e all’innovazione all’interno del processo di cambiamento del modello economico, per poi giungere a parlare dei “lavori del futuro” collegati alla Green Economy. Insomma, quella di oggi sarà una tappa davvero molto ricca, sia di spunti teorici che pratici, siete pronti?
End of Waste: qualche esempio virtuoso
Se davvero il “rifiuto” in quanto tale può diventare un concetto obsoleto e ogni cosa può iniziare una nuova vita e tornare a essere risorsa, sorge spontaneo chiedersi: esistono già esempi concreti e virtuosi di questa riconversione del business in senso circolare? La risposta è sì!
Eccone 3 esempi:
-
Campi da calcio sintetici dagli pneumatici riciclati: tutto nasce dai PFU, ovvero Pneumatici Fuori Uso, che se come rifiuto sono pericolosissimi (scarsamente biodegradabili, prendono fuoco facilmente, bruciati generano emissioni tossiche, non si possono smaltire in discarica, ecc.), possono invece diventare un’incredibile risorsa nel momento in cui vengono recuperati, stoccati, separati dai cerchioni e frantumati. Sì, proprio così, perché i frammenti trattati che ne derivano e possono essere fusi e riutilizzati in molti modi, tra cui campi in erba sintetica o pannelli insonorizzati o aree giochi per bambini. Questo grazie alle proprietà della gomma, che sapientemente unita ad altri materiali, è in grado di impermeabilizzare, attutire gli urti, ridurre i rumori e far durare più a lungo le infrastrutture che con essa vengono realizzate. Una società senza fini di lucro italiana, chiamata Ecopneus, fa proprio questo, occupandosi dell’intera gestione dei PFU.
-
Fibre tessili dallo scarto delle arance: da Catania un esempio virtuoso è quello di Orange Fiber, start up pluripremiata che ha brevettato un processo produttivo che ottiene dal cosiddetto “pastazzo” (l’umido che rimane dopo la spremitura delle arance) una fibra tessile simile alla seta, molto gradevole al tatto e che potrebbe rivelarsi anche benefica per la pelle, contenendo al suo interno diverse proprietà vitaminiche.
-
Carburanti dalla FORSU: la FORSU, ossia la Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani, è la parte di rifiuti che viene dalla raccolta differenziata dell’umido e che contiene principalmente scarti alimentari, tovaglioli sporchi, residui di cibo e così via. Contenendo moltissima acqua (il 70%) tramite la sua liquefazione si può estrarre il suo contenuto energetico e convertirlo in bio-olio e poi in bio-carburante. Del resto la natura, con processi millenari, ha fatto lo stesso decomponendo in maniera anaerobica i primi organismi viventi e facendo sì che si producesse nelle viscere della terra gas naturale e petrolio. Con il waste-to-fuel facciamo lo stesso: attuiamo in qualche ora, grazie alla termoliquefazione, un processo che genera a partire dal FORSU, un bio-olio che in seguito a un ulteriore grado di raffinazione diventa bio-carburante, eccellente alternativa per alimentare le nostre automobili.
Digitalizzazione e innovazione
L’economia, al tempo della circolarità, non può che cambiare a favore di un modello imperniato sui concetti di recupero e riutilizzo delle risorse. Non bisogna però dimenticare di integrare, all’interno di questo modello, l’incessante trasformazione del sistema di produzione che porta a sempre maggiori livelli di digitalizzazione e innovazione tecnologica.
In tale contesto la sfida è quella di riuscire a controbilanciare tra di loro i tre pilastri dell’economia digitale che sono macchina (machine), piattaforma (platform) e folla (crowd).
-
La macchina, intesa come oggetto in grado di operare tramite la gestione di dati e l’utilizzo di algoritmi, è elemento fondativo della trasformazione digitale e sebbene sia progettata per essere al nostro servizio c’è sempre il timore che un’eccessiva automazione possa “annientare” i posti di lavoro.
-
La piattaforma è uno spazio digitale nel quale è possibile la scalabilità di business senza che si debbano possedere fisicamente i beni e i servizi che si vendono. Un esempio su tutti? Uber, la più grande società di trasporti, ma che non possiede neanche un veicolo. Le piattaforme garantiscono maggiore efficienza del processo produttivo, ma i lavoratori che operano per esse, invece, sono garantiti?
-
La folla, ossia la comunità di utenti che unendosi spontaneamente produce enormi risultati complessivi (pensate al crowdfunding) e creando community ingolosisce i giganti dell’hi-tech affinché possano accentrare sempre di più questa massa, tesoro incredibile per i loro business. In questo caso il contraltare è facile da immaginare: dove vanno a finire allora le competenze e le identità specifiche?
Senza scadere in scenari apocalittici di orwelliana memoria c’è dunque da prendere il buono della digitalizzazione, rifuggire lo spauracchio della disoccupazione tecnologica e focalizzarsi su quello che ci ha già mostrato la storia passata, ossia che si è sempre stati in grado di reagire di fronte alle grandi innovazioni generando ogni volta sempre più posti di lavoro di quanti ne andavano perduti. E questo è possibile, soltanto se, applicando quel modo di pensare per sistemi che abbiamo definito nelle precedenti tappe, ci predisponiamo a incorporare le innovazioni e i passi in avanti del progresso in modo integrativo. Ed è così che arriviamo al terzo punto.
Green Economy: i lavori del futuro
Un interessante studio del 2013 condotto da Frey e Osborne, due economisti dell’Università di Oxford, che si propone di stimare gli impatti dell’innovazione tecnologica sul mercato del lavoro, classifica le occupazioni in 3 categorie:
-
quelle che richiedono manipolazione e percezione;
-
quelle che si affidano a creatività e originalità;
-
quelle che si caratterizzano per un alto livello di intelligenza sociale.
La prima categoria è senz’altro quella più colpita da automazione ed è per questo che sempre di più sarà fondamentale implementare quelle competenze che richiedono necessariamente il lavoro dell’uomo, ossia attività che presuppongano creatività, originalità e intelligenza sociale. In una società guidata dai dati e fondata sull’informatizzazione il coding e l’informatica saranno le skills più richieste, ma assieme ad esse si sbloccheranno sempre di più posizioni nei settori della Green Economy, dall’agricoltura al manifatturiero, dall’amministrazione al reparto ricerca e sviluppo, tutte orientate alla preservazione o al restauro della qualità ambientale. Anche il Next Generation EU e l’Agenda europea in generale sembrano mostrarci che questa sia la via da battere nei prossimi anni.
E allora, concludiamo questa quarta tappa menzionando il report di GreenItaly 20191 nel quale sono state elencate tutte quelle professioni green che nei prossimi anni saranno maggiormente richieste: dai meccatronici green agli educatori ambientali per l’infanzia, ce n’è un po’ per tutti!