End of waste: da scarto a nuova risorsa
- by Greenthesis Group
- 1 set 2020
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Negli ultimi anni si legge e si sente parlare sempre più spesso di “end of waste”, ma cosa si intende di preciso con questa espressione? È bene partire dalla traduzione italiana della locuzione, ossia “cessazione della qualifica di rifiuto”, per capire come con End of waste parliamo di quel processo tramite il quale si porta un rifiuto a non essere più tale ma a divenire un nuovo prodotto, una nuova risorsa, un nuovo mattone da inserire nel ciclo produttivo di domani.
L’urgenza di un cambiamento di paradigma produttivo che debba tenere conto delle esigenze ambientali e della cura del pianeta, impone infatti anche un ripensamento della gestione dei rifiuti e il conseguente innesco di quel processo che ha come obiettivo smettere di considerare il rifiuto come scarto, in quanto in realtà esso è, a ben vedere, un sottoprodotto ancora utilizzabile di una produzione precedente, e quindi quella che è più giusto chiamare “materia prima seconda”. È giusto dare, in merito, una definizione di materia prima e di materia prima seconda, laddove con la prima accezione si parla di materiali ottenuti dallo sfruttamento delle risorse naturali (a seconda della loro provenienza possono essere materie prime agricole, minerarie, alimentari o industriali e si distinguono in rinnovabili e non rinnovabili); mentre con la seconda accezione si fa riferimento a quei materiali che appunto derivano dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti o dai residui della lavorazione di una materia prima (plastica, vetro, alluminio, per fare qualche esempio, se riciclati in modo corretto possono essere facilmente trasformati in nuove risorse). L’obiettivo è dunque quello di promuovere il riciclaggio, garantendo un elevato livello di protezione ambientale, al fine di ridurre drasticamente il consumo di materie prime vergini e anche l’accumulazione di rifiuti da smaltire. Per fare ciò bisogna rendere il quadro normativo certo, armonizzarlo nei suoi criteri tra i vari stati membri dell’Unione e ridurre gli oneri amministrativi. b.
L’Europa ha revisionato la normativa dei rifiuti contenuta nella direttiva 2006/12/CE, tramite l’adozione di una nuova direttiva, la 2008/98/CE del novembre 2008, che è quella ad oggi in uso come direttiva quadro in materia di rifiuti. Proprio grazie a quest’ultima si è dato un grande impulso ai singoli stati affinché venisse messa al primo posto tra le priorità di gestione dei rifiuti la preparazione al riutilizzo (oltre che la prevenzione). L’Italia, pertanto, nel recepimento della normativa ha compiuto, negli ultimi anni, molti passi in avanti nel processo di ottimizzazione della gestione dei rifiuti ed è proprio del novembre 2019 l’emendamento approvato in Parlamento con il quale è stato affidato «al Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente il compito di effettuare i controlli su quegli impianti per il recupero dei rifiuti che hanno ricevuto l’autorizzazione dalle regioni»[1] affinché si finalizzi nelle singole realtà regionali una concreta politica di recupero che segua il processo dell’end of waste. Inoltre, sempre a livello normativo, un ulteriore passo in avanti è stato fatto nello scorso aprile, quando il Ministro Costa nel corso di una videoconferenza organizzata da Ecofuturo ha annunciato la firma e l’emanazione del decreto End of Waste sugli pneumatici fuoriuso (PFU). «Sono circa 400.000 le tonnellate di PFU che si generano ogni anno nel mercato del ricambio e della demolizione dei veicoli interessate dal decreto e circa 25 le aziende, con oltre 1.000 addetti, che sul territorio nazionale producono granulo da utilizzare in utili ed eccellenti applicazioni nel settore degli asfalti stradali, dell’impiantistica sportiva, dell’edilizia e dell’arredo urbano da parte di aziende specializzate. Un sistema che garantisce la raccolta e recupero della totalità dei PFU generati da pneumatici regolarmente immessi sul mercato (uno contro uno) con una raccolta capillare e costante presso gli operatori del mercato del ricambio su tutto il territorio nazionale. Si tratta di una filiera che, in 10 anni, ha trasformato gli PFU da problema da gestire a risorsa preziosa, consentendo la trasformazione in materia prima seconda di più della metà della quantità di PFU raccolta»[2].
Accanto al calzante esempio degli pneumatici, è altrettanto importante fare menzione del processo di termoliquefazione che porta al recupero della FORSU, ossia della Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani. Essa è la materia che deriva dalla raccolta differenziata dell’umido ed è costituita principalmente da scarti o avanzi di cucina, residui di cibo, tovaglioli sporchi, e così via. La FORSU viene trattata nel processo insieme ai fanghi degli impianti di depurazione, alle potature degli alberi, agli scarti dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione. L’insieme di questi rifiuti solidi di origine organica è chiamato “umido” perché ha un elevato contenuto d’acqua, fino al 70%, che viene totalmente recuperata. Attraverso la liquefazione il contenuto energetico della biomassa di[MD1] scarto iniziale si ottiene bio-olio che a sua volta, dopo un’ulteriore raffinazione, può portare alla conversione in biocarburante. Per avere un’idea dell’imponente entità di materiale convertito vi basti pensare che da una tonnellata di materia organica, che include anche il peso dell’acqua, si ottengono fino a 150 chilogrammi di bio-olio. I ricercatori, infatti, studiando il processo naturale che ha generato in milioni di anni petrolio e gas naturali a partire dalla decomposizione anaerobica dei primi organismi viventi accumulatisi nelle viscere della terra, hanno trovato un modo per replicare l’intero processo in due o tre ore (portando il materiale organico a temperature di circa 250-310 °C) e senza la necessità di eliminare preliminarmente l’acqua: così è nata la termoliquefazione. Questi trattamenti sono fondamentali perché valorizzano i rifiuti in termini energetici e danno la possibilità di generare sottoprodotti riutilizzabili: non solo un materiale di scarto diventa preziosissima risorsa ma si mette in pratica una virtuosa e alternativa soluzione di gestione dei rifiuti.
L’elenco potrebbe ancora continuare a lungo, citando ad esempio la termovalorizzazione, ossia il processo attraverso il quale grazie al calore sviluppato dalla combustione dei rifiuti si recupera il vapore per produrre direttamente energia elettrica; oppure menzionando il teleriscaldamento, cioè quella modalità di riscaldamento degli edifici tramite impianti che utilizzano fonti rinnovabili e recuperano il calore da cicli produttivi industriali e di trattamento dei rifiuti (l’energia recuperata riscalda l’acqua che viene distribuita agli edifici con una rete di tubazioni in acciaio coibentate); ma quello che interessa in questa sede è più che altro mostrare come vi sia un ventaglio molto più ampio di soluzioni per rendere davvero circolare l’economia riducendo al minimo gli sprechi.
Grazie alla sinergia di ricerca, innovazione e politiche ambientali un’alternativa all’economia lineare non[MD2] solo è possibile, ma è attuabile nel concreto e, proprio per questo, va attuata senza tentennamenti. Realtà come quella di Greenthesis ne sono la dimostrazione concreta: con investimenti mirati nel campo della ricerca di BAT (Best Available Techniques) per garantire alle generazioni future ciò che è necessario in termini di protezione ambientale affinché si possano far diventare realtà gli obiettivi del Green New Deal. Un’economia diversa è già qui, alla nostra portata, pronta a creare nuovi posti di lavoro, a generare valore, a salvaguardare il pianeta e non ci si può tirare indietro.