Green bond: la finanza si apre al sostenibile
- by Greenthesis Group
- 11 giu 2020
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L’attuazione delle politiche sostenibili dettate dall’agenda europea coinvolge le singole economie nazionali a 360°.
Anche la finanza internazionale, anzi soprattutto quest’ultima, è stata investita da questo rivolgimento epocale che è la transazione da un’economia lineare a un’economia circolare.
La necessità di adottare un’impronta sostenibile non poteva, infatti, lasciare escluse banche e investitori che hanno mostrato da subito un sempre maggiore interesse verso la finanza sostenibile, cercando delle soluzioni pratiche affinché si riuscissero a integrare in maniera sistematica e proficua gli investimenti sostenibili all’interno dei processi generali di investimento aziendale. Sono stati introdotti, a tal proposito, dei nuovi modi di approccio all’investimento etico che prevedono, ad esempio, l’esclusione dai portafogli di aziende che operano in settori non considerati a impatto sociale (il caso degli SRI – Sustainable and Responsible Investment) o dell’introduzione di criteri che possano verificare se un fondo sia impegnato realmente dal punto di vista etico, ambientale o sociale (ESG – Enviromental, Social and Governance) [1].
Se, quindi, già a partire dal 2007 (a opera della BEI – Banca Europea per gli Investimenti) la finanza ha iniziato a emettere “obbligazioni verdi” o appunto green bond, è però negli ultimi due anni che essi hanno avuto un boom nei mercati comunitari e mondiali.
Cosa sono di preciso questi green bond? Sono delle normali obbligazioni che, però, vengono emesse allo scopo di finanziare progetti che abbiano un impatto positivo sull’ambiente. Esempi di obiettivi green per i quali possono essere emessi sono l’efficienza energetica, l’uso sostenibile dei terreni o delle acque, il trattamento dei rifiuti, l’edilizia eco-compatibile e così via [2].
Queste obbligazioni, emesse inizialmente da Enti Sovranazionali come ad esempio la BEI o la Banca Mondiale, sono ora emesse anche da aziende statali o addirittura private. Il primo caso in Italia di emissione di green bond risale al 2014 ed è stato a opera della multiutility romagnola Hera che oggi si ritrova a essere tra le prime in Europa ad avere il “Green Financing Framewok”, ossia il documento programmatico sui temi dell’economia circolare, dell’efficienza energetica e della gestione dei rifiuti.
Ci sono ovviamente degli standard affinché un’obbligazione possa essere etichettata come green e per adesso ci rifacciamo ai 4 punti fondamentali che sono stati elaborati dall’ICMA (International Capital Market Association):
- indicazione chiara della destinazione dei proventi;
- i proventi devono essere vincolati al progetto scelto: il denaro deve essere depositato su conto vincolato o trasferito in un portafoglio specifico o comunque tracciato dall’emittente;
- deve essere realizzata (almeno) una volta all’anno una rendicontazione dell’utilizzo dei proventi indicando i progetti per cui vengono utilizzati;
- ci deve essere la second opinion, ovvero la revisione di un esterno che certifichi documenti e obiettivi [3].
Queste caratteristiche non sono però parte di un codice, bensì frutto di un’autoregolamentazione che si sono dati i mercati stessi. Non costituendo una legislazione non sono previste sanzioni per l’infrangimento di questi parametri, fermo restando che il mercato stesso sanzionerebbe le deroghe, in quanto se l’emissione di green bond non rispettasse i canoni sopraccitati le ricadute in termini reputazionali danneggerebbero pesantemente l’azienda.
Viene spontaneo chiedersi se, oltre che etico, sia anche vantaggioso investire in questi titoli e indagare come stanno reagendo i mercati all’introduzione di questa nuova tipologia di obbligazioni. A tal proposito, qualche giorno fa, sono usciti i risultati di un’analisi condotta da NN Investment Partners (NN IP), ossia il gestore unico degli investimenti del Gruppo NN, la compagnia assicurativa olandese più grande (gestisce 287 miliardi di euro di asset).
Questa indagine ha messo a paragone l’andamento dei green bond rispetto a quello degli indici tradizionali negli ultimi quattro anni (dal 2016 al 2019), mostrando come i primi abbiano sovraperformato per ben tre anni su quattro (2016, 2018, 2019), fino ad arrivare al sorpasso nello scorso anno con il 6,4% delle obbligazioni green contro il 6,2% delle tradizionali [4].
“Le obbligazioni verdi”, dice Bram Bos, Lead Portfolio Manager Green Bondsdi NN IP, “sono tipicamente emesse da emittenti innovative e lungimiranti, le cui attività si stanno adattando all’urgenza del cambiamento climatico. Di conseguenza, queste società sono meno esposte ai rischi climatici e ESG e sono più trasparenti nelle loro attività. La costante sovraperformance degli indici di green bond rispetto agli indici obbligazionari ordinari sottolinea questo evento e costituisce un argomento convincente per l’utilizzo di green bond in un contesto più ampio” [5].
Perciò, essendo confermato che investire in green bond può davvero essere un modo semplice per capitalizzare puntando sulla sostenibilità, ma senza dover scendere a compromessi sulla redditività, stiamo assistendo per la prima volta a un capovolgimento degli andamenti della finanza tradizionale, cosa che fa ben sperare per tutti i settori impegnati da anni nella questione ecologica e che hanno fatto della circolarità e della green economy la loro mission, come il Gruppo Greenthesis con il quale da oltre trent’anni seguiamo da vicino ogni singolo passaggio delle politiche riguardanti l’ambiente e non smettiamo di investire in tecnologia e innovazione per implementare il nostro impegno nel settore dello smaltimento dei rifiuti, ormai preziose risorse della catena circolare.
[2] https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/green-bond-definizione.htm
[3] https://www.ilsole24ore.com/art/green-bond-ecco-cosa-sono-e-come-funzionano-AC9tKqDB
[4] https://www.finanzaonline.com/notizie/green-bond-battono-le-obbligazioni-tradizionali