L’emergenza del plastic waste e l’alleanza dell’industria petrolchimica
- by Greenthesis Group
- 29 lug 2019
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L’inquinamento delle acque è un problema quanto mai noto e che colpisce tutta la comunità mondiale. I rifiuti in mare hanno raggiunto quantità tali da formare delle vere e proprie isole[1].
Gli effetti del plastic waste per l’ambiente non sono stati ancora studiati in maniera approfondita e appaiono di difficile valutazione data l’estensione del fenomeno. Il mare non rappresenta una risorsa infinita e le devastazioni sono ormai in atto. Negli ultimi anni si è assistito alla perdita della biodiversità e alla crisi dei diversi eco-sistemi marini, il mare cattura CO2 e rilascia acidità, che distrugge intere specie ittiche riducendole alla fame perché spazza via il biosistema in cui vivono e si nutrono. E si tralascia l'importanza dell'economia legata al mare: oltre alla pesca, il trasporto, il turismo, l'industria estrattiva, le energie rinnovabili. Si stima che l'economia legata al mare valga 2 o 3 mila miliardi e che oltre 3 miliardi di persone vivano grazie al mare[2].
Nell’emergenza è naturale chiedersi cosa stiano realizzando i governi di tutto il mondo a tal proposito.
Nell’attuare politiche green, l’Italia è ostacolata dai bisticci politici, dai comitati nimby[3] e del no agli impianti, dall’atteggiamento criminale di chi ricorre all’incenerimento di un cassonetto o all’abbandono sconsiderato dei rifiuti. L’Italia è comunque uno dei Paesi in prima linea nel riciclo. La Germania risulta la migliore d’Europa con i 72,4 milioni di tonnellate di rifiuti riciclati, seguita dall’Italia con 56,4 milioni di tonnellate.
Nel resto del mondo la situazione (e il livello d’informazione su queste politiche) è sicuramente differente. Il Nord America predilige la discarica classica (54,3% dei rifiuti) e il riciclo (33,3%), l’Asia meridionale come l’India abusa dell’abbandono a cielo aperto (75%), l’Africa Settentrionale e il Vicino Oriente ricorrono anche loro all’abbandono all’aperto (52,7%) o in discariche (34%). L’Europa e l’Asia Centrale usufruiscono in misura equilibrata di tutte le modalità (25,6% abbandono irregolare, 25,9% discarica, 30,7% riciclo e compost, 17,8% incenerimento); l’Africa Nera abbandona la spazzatura (69% e un altro 24% in discariche regolari); le Americhe del Sud e Centrale prediligono le discariche (68,5%) ma non è raro l’abbandono (26,8%). L’Asia Orientale e Pacifica è forte nelle discariche (46%) ma fa anche ricorso generoso all’incenerimento (24% dei rifiuti prodotti).
È facile capire perchè il 90% della plastica negli oceani proviene dai fiumi Yangze, Indo, Fiume Giallo, Hai, Nilo, Brahmaputra Gange, Fiume delle Perle, Amur, Niger e Mekong[4].
Il problema, è lampante, è soprattutto asiatico, di stampo culturale e sociale. La popolazione ha avuto solo da poco accesso a beni e consumi di massa producendo al contempo una grande quantità di rifiuti. L’accesso ad acqua potabile, abiti di poliestere, scarpe di poliuretano, detergenti per l’igiene personale e shampoo, detersivi per la pulizia degli abiti e della biancheria, prodotti per l’igiene della casa ha comportato una grande quantità di rifiuti come flaconi, confezioni, bottiglie, abiti usati e così via[5].
In Europa e negli altri Paesi con politiche ecologiche adeguate sono presenti servizi di raccolta dei rifiuti e un sistema consolidato di riciclo tramite consorzi (tra tutti Conai e Corepla). In Italia è stata installata una diga che raccoglie le bottiglie che galleggiano sul filo della corrente del fiume Po. Nei Paesi di nuova economia, invece, mancano ancora i servizi di raccolta e gestione degli scarti.
La plastica in particolare è la più difficile da recuperare una volta dispersa nell’ambiente. È leggera, un vantaggio per l’uso ma una maledizione quando galleggia facendosi portare dai fiumi e dalle correnti del mare. È stabile e indistruttibile: perfetta per conservare gli alimenti, ma quando diventa un rifiuto è di difficile degradazione. Ciò accade anche per la plastica cosiddetta biodegradabile, che nelle condizioni del mare (freddo e salato) si comporta come tutte le altre plastiche e non si dissolve.
I colossi dell’industria si sono alleati contro il plastic waste. Una trentina di multinazionali della petrolchimica hanno deciso di adottare politiche green concentrandosi sui rifiuti che arrivano agli oceani dai fiumi del mondo.
L’intesa si chiama Alliance to end plastic waste (Aepw), un’alleanza per mettere fine ai rifiuti di plastica, formata in gran parte dalle aziende più evolute e innovative, le stesse che contribuiscono ad inquinare il mondo. Dopo anni di lotte di cittadini e di associazioni, l’industria petrolchimica ha deciso di unirsi e formare un’alleanza antiplastica. Tra le aziende italiane che aderiscono c’è anche Eni alla quale si aggiungono colossi dei beni di consumo e della plastica quali Chevron Phillips Chemical, Clariant, Covestro, Henkel, Mitsubishi Chemical, Mitsui, Nova Chemicals, OxyChem, Procter & Gamble, Reliance, Sabic, Sumitomo, Total, Veolia e PolyOne[6].
La dispersione dei rifiuti di plastica nell'ambiente rappresenta quindi una sfida globale che deve essere affrontata con la massima rapidità e con una leadership politica forte. I cittadini di tutto il mondo vanno sensibilizzati nel riciclo e addirittura alla rinuncia di oggetti plastici monouso, perché il punto di non ritorno è ormai molto vicino.
[1] La più famosa è indubbiamente la Pacific Trash Vortex, la grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific Garbage Patch). Si tratta di una vera e propria isola di rifiuti grande due volte la Francia (secondo una stima del 2018) formata soprattutto da plastica (reti per la pesca, bottiglie e cerchioni) per un totale di circa 79mila tonnellate. In L’isola di spazzatura del Pacifico ora è 2 volte la Francia, Rinnovabili.it, 23 marzo 2018.
[2] Rosalba Reggio, Quando il mare diventa la spazzatura del mondo, il Sole 24ore.
[3] Nimby è l’acronimo inglese di Not In My Back Yard, letteralmente “Non nel mio cortile” e indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sui territori in cui verranno costruite.
[4] Jacopo Gilberto, Rifiuti: la Germania al top per riciclo, Nord-Europa leader negli inceneritori, il Sole 24ore, 27 novembre 2018.
[5] Jacopo Gilberto, Trenta multinazionali dichiarano guerra alla plastica nei mari, il Sole 24ore, 16 gennaio 2019.
[6] Jacopo Gilberto, Trenta multinazionali dichiarano guerra alla plastica nei mari, il Sole 24ore, 16 gennaio 2019.