L’emergenza della plastica va affrontata ora: salviamo il mare!
- by Greenthesis Group
- 15 lug 2019
- 2526 Visualizzazioni
L’emergenza della dispersione della plastica nelle acque è uno dei problemi più seri che ci troviamo ad affrontare al giorno d’oggi, di una portata spesso inimmaginabile se consideriamo che non si parla soltanto della mole dei prodotti dispersi quali bottiglie o buste (già immensa di suo), ma di una quantità nella maggior parte formata da particelle inquinanti microscopiche che, proprio a causa delle loro dimensioni, finiscono all’interno del cibo che arriva alle nostre tavole, oltre che nella struttura dell’ambiente che ci ospita.
L’appello arriva in primis dalle associazioni internazionali quali, ad esempio, il WWF, che ormai da anni denunciano come “l’incapacità diffusa dei Paesi del Mediterraneo di gestire i propri rifiuti di plastica si traduce in livelli record di inquinamento nel Mare Nostrum che provocano costi enormi all’economia regionale ogni anno”, come si può leggere dallo stesso sito dell’ONG.
Stando al nuovo report prodotto dalla stessa Organizzazione, Fermiamo l’inquinamento da Plastica: come i Paesi del Mediterraneo possono salvare il proprio mare, infatti, è evidente come la gestione del ciclo di consumo della plastica di tali Paesi sia quasi completamente da rivedere, avendo dimostrato finora una mancanza di efficacia e, anzi, un innalzamento dello stesso problema. Lo stesso Report si fa carico, poi, di un insieme di indicazioni operative volte a ridefinire politicamente ed ecologicamente il problema, per permettere all’Unione Europea, e più in generale al mondo globalizzato, di arrivare al raggiungimento di un’economia sostenibile sviluppata secondo i principi della circolarità e dell’ecologia che gradualmente riduca a zero la produzione di materiale plastico.
I dati d’altronde parlano chiaro: si quantifica in un preoccupante 28% la percentuale di comunità locali dell’area Mediterranea che eludono il corretto flusso gestionale e che finiscono, inevitabilmente, per impattare negativamente sull’ambiente con materiale che in un modo o nell’altro finisce per riversarsi nelle acque.
Le imprese che operano nei Paesi Mediterranei, sempre secondo questa stima, producono annualmente 38 milioni di tonnellate aggiuntive di manufatti in plastica, ma non si preoccupano di coprire i costi di gestione che le varie amministrazioni sono costrette a prevedere per affrontare il problema dei rifiuti in eccesso. Ma l’emergenza non è soltanto una loro responsabilità, infatti anche i cittadini e i turisti (in particolare di origine francese, italiana e turca) generano ogni anno più di 24 milioni di tonnellate di plastica finendo per accumulare questo pericolosissimo materiale nell’ambiente.
Noi stessi, come italiani, dovremmo per primi rimboccarci le maniche e correggere questa tremenda abitudine che ci vede sul podio dei maggiori produttori di manufatti di plastica della zona e il secondo produttore di rifiuti. “Il nostro Paese produce 4 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui l’80% proviene dall’industria degli imballaggi” si legge nel Report del WWF, “e ogni anno riversa in natura 0,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici”. Tutto ciò nonostante, essendo un Paese che si affaccia quasi interamente sul mare, questa particolare emergenza ci riguarda in particolare e dovremmo anzi svilupparne una particolare sensibilità[1].
Le ripercussioni di un problema simile, non più procrastinabile, cominciano purtroppo a manifestarsi ai nostri occhi: la Science of The Total, un team di ricercatori coordinato da Ignacio Gestoso, ecologo marino del Marine and Environmental Sciences Centre sull’isola portoghese di Madeira, ha infatti rinvenuto su un’isola portoghese un nuovo tipo di inquinamento da plastica, denominato plasticrust. Si è scoperto, infatti, che questo materiale può incrostarsi nella roccia fino a ricoprila, attentando alla vita dei moltissimi organismi marini.
È una notizia nuova ed estremamente preoccupante, perché ci mostra come materiali quali tappi di bottiglia, cotton fioc e simili finiscono a formare una patina di plastica che finisce per incorporarsi direttamente nella roccia.
La scoperta è stata possibile grazie al reperimento di alcune fotografie del 2016 che ritraevano queste strane incrostazioni bianco-blu sulle rocce del litorale vulcanico di un’isola limitrofa. Una volta analizzato il materiale, il team di ricercatori ha potuto constatare di come si trattasse di polietilene, “una plastica molto comune utilizzata negli imballaggi monouso e contenitori per alimenti”, che in tre anni aveva finito per ricoprire quasi il 10% dell’intera superficie rocciosa. “Le incrostazioni probabilmente hanno avuto origine dallo schianto di grossi pezzi di plastica sulla roccia”, ha specificato Gestoso al portale Earther.
Nonostante la scoperta sia recente e, quindi, non sia ancora completamente possibile prevedere i suoi effetti, è stato sconcertante, per i ricercatori, realizzare come a Madera il plasticrust stia progressivamente sostituendo le incrostazioni biologiche sulle rocce, una base alimentare per migliaia di organismi marini come, ad esempio, i cirripedi o le lumache di mare. Alcuni di questi esseri, poi, sono stati rinvenuti sulla stessa plastica facendo presupporre che questo pericoloso materiale sia diventata anche la loro base alimentare.
Qualora questa plastica diventasse cibo anche per altri animali, come i pesci, la sua ingestione porterebbe ad un possibile blocco dei tratti digestivi o a una futura immissione da parte loro di materiali inquinanti. Materiali che ci ritroveremmo inevitabilmente sulle nostre tavole, oltre che nei mari.
“Come ecologo marino, preferirei riportare altri tipi di risultati, e non un documento che descriva questo inquietante nuovo modo di inquinamento plastico”, è quindi la conclusione di Gestoso. “Purtroppo oggi l’entità del problema è così grande che ormai pochi posti sono privi di inquinamento da plastica”[2].
Il monito è chiaro, e riguarda quindi la nostra responsabilità nei confronti dell’ecosistema e dell’impatto che abbiamo su di esso. Una responsabilità che riguarda tutti, dalle amministrazioni alla società civile, le cui ripercussioni comportamentali generano costantemente danni ambientali lungo il globo. Per questo motivo il nostro impegno non può esaurirsi al semplice rispetto dell’obbligo di raccolta differenziata, credendo ad un’improbabile politica che ritiene di poter risolvere le emergenze con la proclamazione di una prospettiva a zero waste. Questa, a oggi, risulta infatti inattuabile.
L’accumulo già presente di rifiuti, quindi, ci obbliga pragmaticamente a fare i conti con una realtà che vede al momento la necessità di appoggiarci ad impianti controllati, e questo perché la sovrapproduzione di rifiuti industriali e urbani ha inevitabilmente bisogno di servizi di trattamento fin quando non riusciremo a portarla ad esaurimento.