L’acqua, l’oro blu da preservare ad ogni costo
- by Greenthesis Group
- 8 lug 2019
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L’acqua è sicuramente il bene più prezioso che abbiamo a disposizione sulla Terra, da essa si è sviluppata la vita ed è stato possibile l’originarsi di quell’insieme di relazioni tra organismi viventi e materiali esistenti che ancora oggi è alla base della sopravvivenza del nostro ecosistema.
Nonostante questa sia una consapevolezza ormai diffusa a livello mondiale, però, continuiamo ad utilizzare questo elemento in maniera scriteriata finendo per sprecarne una quantità vergognosa e preoccupante. Troppo spesso dimentichiamo, forse, che l’acqua dolce è indispensabile alla vita e che quella che abbiamo a disposizione non durerà per sempre.
A contribuire alla riduzione di questo bene prezioso intervengono sempre più fattori, dal cambiamento climatico e il conseguente scioglimento dei ghiacci, frutto di nostre politiche industriali e di consumo scellerate e per niente lungimiranti, passando per il repentino aumento demografico mondiale, fino all’incredibile sviluppo economico e industriale di alcuni Paesi fino a qualche anno fa rimasto in secondo piano come il Brasile, l’India e, a suo modo, la Cina. Per questa serie di ragioni l’acqua viene definita, giustamente, oro blu.
Lo spreco dell’acqua riguarda ovviamente anche la dispersione di tutta quell’energia necessaria al suo reperimento, ed è per questa ragione che salvaguardare questo bene permette di andare a ridurre tutti gli sprechi di risorse e energia che ci ruotano attorno. Piccole accortezze, come ad esempio l’azionare lavatrice e lavastoviglie soltanto a pieno carico o ridurre al minimo lo scorrimento dell’acqua corrente, possono davvero fare la differenza su larga scala e contribuire ad ottimizzare al meglio la gestione di questa risorsa.
Ovviamente stiamo parlando di un elemento ampiamente utilizzato per qualsiasi scopo, dalla coltivazione agli allevamenti fino alla produzione industriale, e proprio per questo ad essere analizzata e misurata è quella che è definita l’impronta idrica, intendendo con questo termine la quantità d’acqua consumata nella realizzazione dello specifico prodotto.
Allo scopo di tutelare le riserve idriche, poi, non è sufficiente avere una particolare accortezza del suo utilizzo, ma bisogna assicurarsi anche che queste non vengano in nessun modo inquinate. Per questo motivo, a livello civico, dobbiamo fare attenzione all’uso di detersivi e a tutto ciò che quotidianamente scarichiamo nelle tubature, mentre a livello industriale diventa obbligatorio (oltre che, naturalmente, etico) attenersi alle severe regole di tutela e monitoraggio degli impianti così che nessuno scarto finisca per riversarsi nelle falde acquifere. Dal momento che la depurazione, infatti, rappresenta un processo con un dispendio economico ed energetico esagerato, dobbiamo correggere il tiro andando a modificare a monte le nostre abitudini di consumo.
Ovviamente nel caso si provvede alla depurazione, con lo scopo di ridurre la concentrazione degli inquinanti e riportarli ai livelli consentiti dalla normativa così da mantenere inalterato lo stato ambientale, intervengono particolari batteri all’interno della rete fognaria che sono in grado di cibarsi delle sostanze di rifiuto producendo, a loro volta, fango di supero. Queste acque reflue vengono poi recuperate per essere immesse a nuovo circolo[1].
Se consideriamo la questione come un unicum, infatti, ci accorgiamo che tutte le nostre attività socioeconomiche generano obbligatoriamente una produzione di scarichi che necessariamente devono essere depurati prima di venire immessi nuovamente in circolazione. I sistemi di depurazione non fanno nient’altro che simulare i processi biologici, già attivi in natura nei corsi d’acqua, accelerandone la portata mediante l’utilizzo di una tecnologia apposita. È per questo motivo che “i processi di base di depurazione mediante trattamenti biologici vanno a sfruttare tecnologie basate soprattutto su fenomeni naturali, che avvengono però in ambienti creati artificialmente”.
Per ciò che concerne la normativa di riferimento, in Italia facciamo riferimento al D.Lgs 152 dell’11 maggio 1999, volto a recepire la direttiva comunitaria 91/271/CEE riguardante il trattamento delle acque reflue urbane. Questo decreto, oltre ad agire come disciplina degli scarichi avendo fissato il limite della concentrazione massima delle varie sostanze inquinanti, fissa anche una serie di obblighi di monitoraggio e di quantificazione degli eventuali danni ambientali che l’uomo, con la sua opera, genera quotidianamente. In aggiunta a questa norma si trova anche il D.M. 198 del 18 settembre 2002, riguardante le “modalità di attuazione sullo stato di qualità delle acque, ai sensi dell’art. 3, comma 7, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152”, che programma l’invio dei dati conoscitivi e dello stato di qualità delle acque dalle Regioni e dalle Province Autonome ad APAT.
Il 3 aprile 2006, poi, è subentrato anche il D. Lgs 152/06 cosiddetto Testo Unico Ambientale, che entra nel merito della materia andando a disciplinare l’inquinamento idrico definendo le materie: per scarico di acque reflue (art. 74 lettera ff) si intende “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’art. 114”, mentre vengono definite anche le acque reflue urbane (art. 74 lettera i) quali “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato”. A loro volta, le acque reflue domestiche (art. 74 lettera g) vengono definite come “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”, mentre le industriali (art. 74 lettera h) “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque reflue meteoriche di dilavamento” [2].
È importante, da un punto di vista imprenditoriale, fare continua formazione e informazione verso il personale interno e qualsiasi tipologia di stakeholder esterno così che da un lato si accresca la responsabilità territoriale nei confronti della salvaguardia di questo oro blu, e dall’altro si attivi un senso di controllo e cautela perenne che aiuti il personale addetto alla gestione degli stessi impianti e all’ottimizzazione di ogni tipo di scarto.
Le acque reflue, ad esempio, possono essere sfruttate nel loro calore come un’importantissima fonte di riscaldamento attivata mediante pompe di calore. Ma anche i residui dei processi di depurazione, comunemente chiamati fanghi, rappresentano un residuo altamente utilizzato per la produzione di nuova energia oltre che comunemente impiegati nel settore agricolo. Essendo composti da un’infinità di microrganismi, infatti, tali residui attivano un processo di produzione di biocarburante che si usa nel settore per alimentare le centrali termoelettriche e gli impianti di riscaldamento.
Processo chimico che da sempre contraddistingue il nostro pianeta, la fermentazione avviene infatti in spontaneità attraverso i sopracitati microrganismi (in gran parte facenti parte della famiglia delle Methanobacteriacee, e per questo assumenti il nome di metanigeni e in grado di attuare la fermentazione metanica, vera e propria artefice della produzione di metano CH4), che si rivelano capaci di ricavare energia dalla decomposizione di sostanze organiche.