La situazione dei rifiuti in Italia? Facciamo chiarezza per impostare i futuri obiettivi
- by Greenthesis Group
- 13 giu 2019
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Con l’adozione in via definitiva del pacchetto legislativo sull’economia circolare approvato a Strasburgo dal Parlamento Europeo il 18 aprile dello scorso anno l’Europa ha definitivamente dichiarato il suo intento di perseguire uno sviluppo economico ed ecologico in grado di assimilare le politiche industriali alla tutela dell’ambiente, e lo ha fatto mediante l’enunciazione di nuove norme che si prefigurano come degli attori in grado di condurci verso una politica dei rifiuti se non rivoluzionaria quantomeno altamente innovativa per ciò che riguarda il nostro sistema produttivo e la gestione dei nostri cicli di consumo.
Il leit motiv di tutto ciò è rappresentato dall’obbligo trasversale di limitare la produzione di materiali di scarto a partire già dallo step produttivo, e dall’incentivazione industriale e civica all’utilizzo di un numero sempre maggiore di risorse riciclabili. È in questo senso, quindi, che l’economia circolare assume il ruolo guida all’interno della legislazione europea e impone per la prima volta il suo quadro di programmazione condiviso.
Se ci concentriamo sulla situazione nel nostro Paese possiamo prendere in considerazione le stime dell’Ispra e affermare che il valore di mercato generato dal settore della gestione dei rifiuti è stimato attorno ai 28 miliardi di euro, di cui 11,2 attribuibili ai rifiuti urbani e i restanti 16,9 miliardi per i rifiuti speciali. La mancanza di una programmazione nazionale lungimirante, però, assieme alla netta e certificata carenza di un numero sufficiente di impianti capace di assorbire quanto di buono facciamo in termini di raccolta, fa sì che da diverso tempo l’Italia sia in una situazione critica, ormai divenuta quasi emergenziale, per quanto riguarda “un quadro normativo ancora troppo complicato (quando non incerto), che ha prodotto una generalizzata diffidenza della società civile e dell’opinione pubblica verso qualsiasi tipo di impianto di trattamento dei rifiuti, compresi quelli del riciclo”, come scrive il giornalista Alessandro Graziadei[1].
Per questi motivi gli unici obiettivi al momento devono essere il cercare di migliorare continuamente l’efficienza della gestione dei rifiuti, come noi di Green Holding facciamo da sempre grazie ad una continua innovazione dei nostri strumenti e processi, e al contempo dare però attenzione e risposte concrete a tutti quegli interrogativi che legittimamente si pongono le persone che vivono nei territori interessati a queste dinamiche. Anche da questo punto di vista, infatti, il nostro Gruppo si è mosso adottando occasioni, quali ad esempio l’ultima Giornata Mondiale dell’Ambiente, per aprire i nostri impianti al pubblico e mettere in mostra le dinamiche e la sicurezza con le quali operano[2]. È soltanto mediante queste due indispensabili leve che il settore di gestione dei rifiuti potrà allinearsi con le indicazioni dell’Unione Europea sul fronte della sostenibilità ambientale e sociale.
Come anticipato, infatti, è grazie alle realtà aziendali virtuose e innovatrici da una parte, e alle pressioni della società civile e di quelle amministrazioni particolarmente etiche dall’altra, che una grande fetta dell’industria italiana ha ben assorbito (a volte addirittura anticipato, come per esempio il nostro impianto di Rea Dalmine) gli orientamenti stabiliti a livello comunitario. E il direttore area Politiche Industriali di Confindustria Andrea Bianchi, commentando il rapporto dello scorso anno Il ruolo dell’industria italiana nell’economia circolare, ha infatti affermato come “il sistema produttivo è pronto a dare il proprio contributo, ma è necessario poter contare su un contesto normativo, tecnologico ed economico che sia di supporto e non di ostacolo al raggiungimento di tali obiettivi”. Quello che Confindustria auspica, quindi, è che per valorizzare le nostre eccellenze territoriali in termini di circolarità si debba obbligatoriamente scendere in campo a livello normativo, così da “abbattere le barriere non tecnologiche; favorire la produzione di beni prodotti in linea con i principi dell’economia circolare e innalzare la capacità impiantistica virtuosa del Paese”, come ha affermato lo stesso Bianchi. È l’unica soluzione in grado di allinearci al resto d’Europa per quanto riguarda il nostro apporto alla sostenibilità di questo pianeta.
Anche perché, come anticipato, siamo difronte ad un’emergenza sì ambientale, ma anche gestionale per ciò che concerne nello specifico l’Italia. “Escludendo eventuali ulteriori nuove autorizzazioni o ampliamenti, l’autonomia dell’attuale sistema di smaltimento in discarica è di circa due anni per il Nord Italia e meno di un anno per il Centro, mentre il Sud già evidenzia situazioni critiche” è, ad esempio, quanto si è letto lo scorso 18 aprile a Roma nel rapporto Per una strategia nazionale dei rifiuti presentato da Fise Assoambiente.
Ogni anno produciamo 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani senza avere a disposizione, di fatto, sufficienti impianti per poterli lavorare, convertire in energia o anche scartarli (al netto del fatto che, sempre sulla base di quanto indicato dall’Unione Europea, la soluzione del conferimento in discarica rappresenta l’ultima opzione nel ventaglio di possibilità). Ed è a causa di questa carenza di strutture che ci troviamo ogni anno a dover esportare una quantità pari a 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, alle quali si aggiungono 1 milione di tonnellate di rifiuti pericolosi e quasi 400 mila tonnellate di rifiuti urbani. “In un anno sono 1,2 miliardi i km percorsi dalla nostra spazzatura in cerca di impianti, il che equivale a percorrere circa 175.000 volte l’intera rete autostradale italiana con la rispettiva dose di inquinamento atmosferico” è quanto si evince dallo stesso report di Fise Assoambiente.
E mentre in tutta Europa la direzione intrapresa va verso il raggiungimento del 65% di riciclo, il 25% di apporto alla valorizzazione energetica e soltanto il 10% di conferimento in discarica entro la data limite del 2035, stando all’analisi dei dati Ispra ci rendiamo purtroppo conto di quanto l’Italia sia ancora decisamente distante: “nel 2017”, infatti, “il 47% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia, il 18% a termovalorizzazione e il 23% in discarica”.
Secondo Assoambiente, quindi, il raggiungimento tempestivo di tali obiettivi passerà obbligatoriamente attraverso la realizzazione entro la suddetta dead line di “una Strategia nazionale di gestione dei rifiuti che ci fornisca una visione nel medio-lungo periodo migliorando le attuali performance" in quanto “fare economia circolare significa disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e dimensioni adeguate alla domanda, capaci non solo di sostenere il flusso crescente in particolare delle raccolte differenziate di rifiuti, ma anche di sopportare fasi di crisi dei mercati esteri”.
Non si tratta soltanto di considerare gli ovvi vantaggi ambientali e di salvaguardia del nostro pianeta che si possono perseguire attraverso una corretta e controllata gestione dei rifiuti che passa in impianti autorizzati e in flussi regolati e programmati e non mediante siti di conferimento abusivi e mercati illegali, ma anche di un settore occupazionale che vede coinvolti oltre 150.000 professionisti di vario livelli, oltre che un investimento in infrastrutture di circa 10 miliardi di euro.
Tra questi investimenti, sono sicuramente degni di nota quelli riguardanti i vari consorzi del riciclo che stanno cominciando già a dare i loro buoni risultati: nel 2018, infatti, il Centro di coordinamento Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) ha registrato una crescita del 4,8% raggiungendo le 310mila tonnellate di materiali raccolti, mentre il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero dei rifiuti di imballaggio in vetro (Coreve) sale addirittura dell’8,3% e l’EcoTyre, il consorzio incaricato della gestione dei pneumatici fuori uso ha già correttamente gestito più di 8500 pfu