Economia circolare, il futuro è già iniziato
- by Greenthesis Group
- 7 mar 2019
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E' l'Unione Europea ad inserire all'interno delle sue priorità l'adozione sistemica di modelli nazionali che risultino allineati con i principi dell'economia circolare, e lo fa proprio perché questa inversione di rotta in una chiave interpretativa socioeconomica si mostra come un'incredibile opportunità di crescita e sviluppo su diversi livelli.
Innanzi tutto da un punto di vista competitivo, laddove il minor utilizzo di materie prime come fondamento di questi nuovi modelli di business permette di progettare e supportare una struttura di spese decisamente meno legate alle dinamiche di mercato, all'evoluzione normativa e alla volatilità dei prezzi.
Su una proiezione al 2030, infatti, si parla di una riduzione del 17/24% del consumo delle risorse, pari a 630 miliardi di euro annui risparmiati e, di conseguenza, ad una crescita del 3,9% del PIL europeo.
Se pensiamo alla riformulazione dei modelli di sviluppo in questa nuova dimensione circolare, poi, è chiaro come alla base ci debba essere una forte e decisa spinta innovatrice. L'innovazione, quindi, si presenta come il più incisivo fattore abilitante riversandosi in una netta virata verso la digitalizzazione di servizi e processi aziendali e generando, dal canto suo, nuove opportunità di business e sviluppo.
Un altro vantaggio di questo modello di gestione è rappresentato dai benefici che ne ricaverebbe l'ambiente. Come stabilito dall'accordo di Parigi, infatti, per prevenire e contenere il riscaldamento globale dovremo necessariamente passare attraverso la netta riduzione dei materiali di scarto che finiscono nei terreni o nelle acque, così come sarà indispensabile ridurre drasticamente l'inquinamento atmosferico.
In ultimo, abbassare l'utilizzo delle materie prime e, di pari passo, incrementare l'elargizione di servizi a valore aggiunto comporterebbe uno slittamento della struttura dei costi verso l'implementazione del lavoro andando ad impattare nettamente sulla dimensione occupazionale[1].
Esaminando questo nuovo modello di sviluppo circolare possiamo comprendere come questo nasca da una non più procrastinabile idea di sviluppo sostenibile, e si manifesti in principi e ambiti di interesse in cui è possibile perseguire la nozione di circolarità. Si tratta di approcci che permettono alle imprese di generare un plus valoriale per l'utente finale mentre perseguono allo stesso tempo una riduzione dell'impatto ambientale mediante l'utilizzo di nuove tecnologie in grado di facilitarne il momento di consumo.
Parliamo in questo caso di input sostenibili, rinnovabili o da riciclo, consistenti in estensioni della vita utile del prodotto che possono annoverarsi nella fase della progettazione, della manutenzione o della riparazione, e presuppongono una delle maggiori inversioni di rotta da un punto di vista culturale e attitudinale. Ad oggi siamo abituati, infatti, più che ad una riparazione che viene spesso vista come prolungata e sconveniente, ad una ripetuta sostituzione dei prodotti, andando a interrompere il loro ciclo di consumo dopo un singolo utilizzo. Ed è la stessa procedura che caratterizza i siti produttivi e le infrastrutture, costantemente rimpiazzati da nuove versioni anziché sottoposte al riutilizzo o alla rigenerazione. Se consideriamo le leve d’intervento possibili notiamo come sono diversi gli step dove si può intervenire, a partire dal design dove i prodotti possono subire una strutturazione modulare così da agevolarne la manutenzione.
A queste dinamiche si aggiungono le numerose realtà sharing che quotidianamente nascono in tutto il mondo. Si tratta di piattaforme di condivisione di beni o servizi alle quali possono accedere diversi fruitori, innescando in questo modo una modalità di utilizzo enormemente più sostenibile e, oltretutto, decisamente più sociale per la sua natura di condivisione. Abbattendo i costi di accesso e stimolando l'interazione sociale si allarga in questo modo il consumo ad una fetta più ampia di utenti e la quantificazione si sposterà gradualmente dal prodotto in sé alla singola accessibilità allo stesso.
Sono anni in cui si è fortemente accelerato anche su soluzioni del tipo product as a service, e cioè quelle in cui un'impresa sostituisce la vendita di un bene con l'elargizione del corrispondente servizio. Una dinamica che si è potuta generare soprattutto grazie all'implementazione di innovazioni tecnologiche e che ha rappresentato una delle maggiori variabili di riduzione dell'impatto ambientale nonché uno dei fattori più concilianti tra le aziende e i clienti.
Entrando più nello specifico del concetto di end of life, notiamo come non si parli in questo caso semplicemente di riciclo, comunque fondamentale, ma anche di alternative solide come, ad esempio, l'upcycling (conversione di un asset a fine vita, così da permettergli una generazione di valore aumentata rispetto all'iniziale destinazione) o il regenerating, inteso questo come la riparazione estensiva di materiali o prodotti così da consentire loro di affrontare un altro ciclo di consumo[2].