Studi, ricerche e nuove scoperte per limitare l'inquinamento dalla plastica
- by Greenthesis Group
- 17 dic 2018
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Una delle maggiori emergenze globali in tema di inquinamento è oggi rappresentata dallo smaltimento dei rifiuti. L’accumulo di plastica nell’ambiente, in particolare, ha raggiunto livelli di insostenibilità fortemente pericolosi: oltre che dispersa per le strade, ritroviamo la plastica in mare, sulle spiagge e nelle profondità oceaniche. Un fenomeno in costante crescita, destinato a distruggere lentamente l’ecosistema marino, basti pensare a ciò che rivela uno studio su Science del 2015, il quale ha stimato un accumulo di 155 milioni di tonnellate di plastica negli oceani entro il 2025, circa il doppio del quantitativo attuale. Il riciclaggio, ossia il processo di trasformazione dei rifiuti in materiali riutilizzabili, costituisce, dal punto di vista ecologico, il metodo maggiormente vantaggioso per lo smaltimento della plastica, rispetto ai sistemi più convenzionali (accumulo nelle discariche ed incenerimento in appositi impianti), i quali hanno un impatto ambientale non indifferente, oltre a non essere più sufficienti per smaltire il carico di rifiuti dell’era moderna. Ma risulta che l'86% della plastica prodotta a livello mondiale per imballaggi, non viene mai raccolta per essere inviata al riciclo, il 4% viene persa durante il processo di riciclaggio, l'8% viene riciclata in prodotti di qualità inferiore e solo il 2% viene riciclata in prodotti equivalenti. Inoltre, come già accennato, dalla plastica riciclata si ottengono prodotti di qualità inferiore. Questo è dovuto al fatto che la metodica di riciclaggio maggiormente utilizzata si basa sulla triturazione meccanica, la fusione e la riformazione della plastica; ciò prevede una degradazione dei polimeri costituenti il materiale plastico causata delle alte temperature ed un conseguente declassamento dello stesso. Alla consapevolezza maturata sull'incombente rischio ecologico la Scienza risponde con la ricerca delle possibili soluzioni e nonostante non ci siano verdetti unanime su questi studi, molto si sta muovendo in quest’ambito e tante piccole scoperte potrebbero davvero cambiare il modo domani con cui ci confronteremo con questo prodotto.
Nell'ambito del “riciclaggio chimico” presso la Washington State University, è stata, ad esempio, elaborata una metodica che consente di decomporre i polimeri che compongono la materia plastica, ottenendone gli elementi costitutivi, ovvero i monomeri, più facilmente riciclabili, attraverso l'utilizzo di appositi catalizzatori. Altri gruppi di ricerca hanno, invece, intravisto una possibile soluzione nella sintesi di materiali plastici facilmente degradabili e riutilizzabili, puntando alla semplificazione dei processi di riciclaggio. Altra promettente strada è quella della “biodepolimerizzazione”, che vede nella biocatalisi un possibile metodo di riciclaggio, il quale potrebbe in futuro smaltire una quota degli scarti di materiale plastico. In Italia invece gli ingegneri Giorgio Pecci e Gustavo Bruno Torlasco hanno indirizzato i loro studi sull’abbattimento dell'inquinamento generato dai comuni impianti di smaltimento di rifiuti, in particolare plastiche e pneumatici, progettando un nuovo sistema che non utilizza la combustione dei materiali e di conseguenza non emette inquinanti atmosferici. Tale sistema basa il suo funzionamento sul cracking per via termomeccanica, che “permette di scindere le molecole complesse (polimeri) in idrocarburi attraverso la rottura dei legami molecolari delle catene dei polimeri, 'liberando' gli atomi di carbonio presenti nei materiali di fabbricazione delle gomme e delle plastiche. In questo modo si riesce ad ottenere la completa decomposizione di gomma e plastica senza alcuna emissione nell’atmosfera”. Il cracking smaltisce materie plastiche in genere, tra cui pneumatici, scarti di gomma, scarti plastici derivati dalla rottamazione delle auto, da elettrodomestici, da computer. Il sistema utilizza una forma di energia meccanica (attrito) e non la termo-ossidazione (combustione), che permette di evitare la formazione di diossine, prodotti ossidati, anidride carbonica o particolati, poiché il processo di trasformazione avviene a temperature inferiori ai 500 °C ed in ambiente privo di ossigeno. I rifiuti vengono triturati e non bruciati, ed unendo al reattore del cracking un sistema di distillazione frazionata si ricavano gas gpl ed idrocarburi liquidi, oltre al carbone solido in polvere come unico prodotto solido. Il progetto, brevettato a livello europeo, prevede la costruzione di un impianto capace di smaltire una tonnellata di rifiuti all'ora, di questi, 300 kg sono trasformati in gas (utilizzato per generare l'energia elettrica che rifornisce l'impianto stesso ed energia termica per uso industriale o civile), 450 kg sono trasformati in gasolio, i restanti 250 kg convertiti in carbone in polvere. Diverso ma pur sempre innovativo e promettente il meccanismo ideato dai ricercatori dell'Università di Swansea, che si propone di convertire la plastica in idrogeno, utilizzando poi quest'ultimo come possibile carburante per auto. Il vantaggio di questo progetto è la sua adattabilità per quanto riguarda la tipologia del materiale di rifiuto convertibile, rispetto a molte altre tecnologie di riciclo della plastica, che prediligono materiali puri, come ad esempio per il riciclo del PET (polietilene), gravato dai costi di purificazione, che lo rendono antieconomico. Tuttavia solo la metà dei rifiuti plastici viene trasformata in idrogeno, la restante parte viene convertita in un precursore di nuovo materiale, utilizzato per produrre nuova plastica. Il processo alla base del meccanismo utilizza la tecnica del reforming solare delle materie plastiche, secondo cui la plastica (sono stati utilizzati tre comuni polimeri: acido polilattico, PET e poliuretano) viene tagliata in pezzetti, resa ruvida, immersa in una soluzione alcalina a pH elevato, ad essa viene aggiunto un fotocatalizzatore (una molecola che assorbe energia solare, la trasforma in energia chimica, velocizzando alcune reazioni). Un processo semplice ed a bassa energia, tuttavia gravato dalla produzione di anidride carbonica, gas serra noto e responsabile di cambiamenti climatici terrestri, per stessa ammissione dei ricercatori. Quale di questi progetti sarà una svolta per l’ecosistema in cui viviamo non ci è dato ancora saperlo, sicuramente però il tema ambientale riempiendo, oltre che molti dibattiti anche molti laboratori di ricerca, sarà in continua evoluzione e porterà traguardi importanti negli anni a venire.