L'Europarlamento, aiutato dalla chimica, contro l'inquinamento da plastica
- by Greenthesis Group
- 15 ott 2018
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Partiamo da alcuni numeri: 322 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel mondo nel 2015 con la previsione che raddoppino nei prossimi 20 anni. Se guardiamo anche alla sola Europa ogni anno si generano 25,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, di questi solo il 30% viene raccolto per essere riciclato e il 31% finisce in discarica. Numeri che ci dicono come fondamentale sia aumentare, già da oggi, i tassi di raccolta e riciclo. Ne è convinto anche l’Europarlamento che, nella Risoluzione di settembre 2018, si appella proprio ad un’economia circolare della plastica riciclata confermando che questo “quasi indistruttibile” materiale sia un problema di carattere globale, per la cui risoluzione è necessaria proprio una cooperazione internazionale. Nel testo citato si richiamano così vari strumenti: per esempio regimi di responsabilità estesa del produttore con tariffe modulate, sistemi di cauzione-rimborso, incentivi alla raccolta dei rifiuti marini da parte dei pescatori. Un altro punto fondamentale è quello di incrementare l’uso di plastica riciclata che nella Ue è ancora marginale. Solo il 6% della plastica immessa sul mercato, infatti, è prodotto da materiale riciclato. Dato che nasce in parte dai bassi prezzi dei combustibili fossili, grazie ai vari sussidi di cui ancora godono, e dalla mancanza di una fornitura di qualità che porta i consumatori finali ad avere scarsa fiducia in tali prodotti. Rafforzando il mercato interno delle materie prime secondarie questo problema potrebbe però essere superato. A tal riguardo la Commissione europea potrebbe proporre norme che contengano standard sulla qualità, tenendo conto dei diversi gradi di riciclaggio compatibili con i vari usi, in particolare se la plastica riciclata è utilizzata in contenitori per alimenti. Si è discusso anche di introdurre un’imposta sul valore aggiunto (IVA) ridotta sui prodotti contenenti plastica riciclata, ed infine di bandire da cosmetici e prodotti per la pulizia entro il 2020 le micro-plastiche, non solo quelle intenzionalmente aggiunte nei prodotti, ma anche quelle generate durante l’uso dei prodotti e dal loro degrado. Questi qui riassunti sono i punti chiave della Risoluzione non vincolante approvata a Bruxelles lo scorso 13 settembre dal Parlamento europeo con 597 voti favorevoli, 15 contrari e 25 astensioni. Oggi la plastica è così indispensabile a mantenere i nostri standard di vita che è difficile immaginare un futuro che ne sia privo. Ma, se da una parte oggi si cerca di arginare un problema già di per sé così esteso ponendo un freno alla produzione di nuova plastica inquinante, dall’altra si studiano metodi per rendere un materiale così importante “buono” ed in grado, grazie a chimica e nanotecnologie, di diventare riciclabile nella sua totalità.
"Il 100% di riciclabilità della plastica non è un sogno: è un obiettivo. Oggi abbiamo tecnologie molto promettenti, che in uno o due decenni possono portarci a sfiorare quel traguardo". Lo afferma Mark Miodownik, docente di scienza dei materiali all’University College di Londra e autore del saggio “La sostanza delle cose. Storie incredibili dei materiali di cui è fatto il mondo”. Il punto qui non è eliminare l’uso della plastica nella sua totalità infatti, ma riciclarne il più possibile, e questo potrebbe essere possibile solo se usassimo un solo tipo di plastica per tutti i prodotti di consumo. Dei circa 200 tipi di plastica che esistono al mondo, infatti, oggi ne ricicliamo soltanto cinque o sei: ad esempio i flaconi degli shampoo e la maggior parte degli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana sono composti da più plastiche assemblate insieme per conferire all’oggetto diverse proprietà desiderabili sia dai consumatori sia dai produttori. Per poter riciclare tali plastiche, però, bisogna separarle l’una dall’altra e questo risulto costoso, più di quanto l’azienda paga per produrre un nuovo oggetto di plastica da zero.
Qui ci viene però in aiuto la chimica con il cosiddetto “cracking termico”, ossia una soluzione innovativa che consiste nel frantumare ed essiccare oggetti plastici di qualsiasi tipo per poi sottoporli ad alte temperature (fino a 500 gradi) in una speciale camera senza ossigeno. Questo fa sì che i legami chimici dei polimeri si spezzino e la plastica si trasformi in un olio che poi può essere ritrasformato in plastica al posto del petrolio. Un macchinario di questa tipologia può riciclare in un anno circa 7.000 tonnellate di plastica, quanto basta per una città di media grandezza andando così, inoltre, positivamente a decentralizzare il riciclo ed a abbattere le emissioni di CO2 che si producono oggi per trasportare la plastica là, spesso in quei paesi lontani dell’Oriente, dove la si raccoglie negli impianti di riciclo. Per facilitare il riciclo sarebbe però auspicabile che, perlomeno nei prodotti a uso singolo che risultano più problematici per l’ambiente, si utilizzasse un solo tipo di plastica, possibilmente incolore, poiché fino a poco tempo era impossibile ottenere oggetti neutri da plastica riciclata colorata. Dico fino a poco tempo fa perché è stato scoperto in Giappone, da poco, un sistema che, usando nanoparticelle magnetiche che si attaccano ai pigmenti di colore, li rende più pesanti delle altre particelle di plastica riuscendo, attraverso centrifuga, a isolare il colore dalla più preziosa plastica incolore. Sempre la nanotecnologia, stavolta a Pittsburgh, ci viene in aiuto grazie all’innovativa possibilità di alterare la nanostruttura del polietilene in modo da permettergli di imitare le proprietà di altri materiali plastici, come il PET e altri, senza cambiarne la composizione chimica. Si creano così prodotti che, pur essendo fatti di un materiale solo, hanno le caratteristiche desiderabili di altri diversi materiali.
Dove non arriva quindi l’educazione ed il senso civile, come troppo spesso ci mostrano le news ed i nostri stessi occhi, arriva l’ingegno di chi, come tanti, desidera un futuro più pulito per la nostra Terra.