La Grande Muraglia Verde: come fermare il deserto ridando speranza all'Africa
- by Greenthesis Group
- 25 lug 2018
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Nel 1952, durante una sua spedizione nel Sahara, lo scienziato britannico Richard St.Barbe Baker propose per la prima volta un progetto grandioso quanto ambizioso: costruire una barriera naturale fatta di alberi e piante dal Senegal a Gibuti per combattere l’avanzata del deserto in Africa ed offrire ai popoli del continente una prospettiva di vita migliore. Nel 2002 l’idea è stata riproposta al summit straordinario in Ciad in occasione della giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità ed è stata approvata dalla Conferenza dei capi di Stato e di Governo della Comunità degli stati del Sahel e del Sahara nel 2005. Il progetto è ufficialmente iniziato nel 2007, anche se ci vorranno anni per portarlo a termine. Una volta completata l’enorme striscia di vegetazione sarà la più grande struttura vivente sulla Terra e una nuova Meraviglia del Mondo, lunga oltre 8.000 km e larga 15, ed in grado di fornire cibo ed un futuro migliore a milioni di persone che vivono in una regione in ginocchio a causa dei cambiamenti climatici. Più che una linea di alberi, come inizialmente immaginata, il progetto finale porterà un mosaico di interventi volti anche allo sviluppo delle zone rurali rafforzando gli ecosistemi. Algeria, Burkina Faso, Benin, Ciad, Capo Verde, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia, Tunisia, il programma della “Grande Muraglia Verde dell'Iniziativa per il Sahara e il Sahel” coinvolge oggi oltre 20 paesi della regione sahelo-sahariana ed ha ottenuto, con la guida dell’Unione Africana, il supporto di molte organizzazioni regionali ed internazionali come la Banca Mondiale, l’Unione Europea ed l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
L’inaridimento dei terreni interessa il 40% della superficie africana; l’Onu afferma che due terzi delle terre coltivabili del continente sono a rischio desertificazione entro il 2025. Le cause sono tante: l’aumento della temperatura, pratiche agricole sbagliate, il taglio degli alberi, l’impoverimento dei pascoli per lo sfruttamento degli allevatori. Le conseguenze della desertificazione coinvolgono circa 500 milioni di persone e consistono, tra le altre cose, in frequenti tempeste di sabbia e diminuzione delle piogge; fenomeni che contribuiscono all’erosione dei terreni. Così ogni anno il deserto avanza di 2 km, causando una perdita annuale di circa 2 milioni di ettari di zone verdi: la barriera vegetale potrebbe però bloccare i venti e la sabbia provenienti dal deserto e allo stesso tempo migliorare la qualità dei terreni. Allo stesso tempo dovrebbe riuscire ad assorbire più di 250 milioni di tonnellate l’anno di CO2, creando 350.000 posti di lavoro e fornendo il cibo a 20 milioni di persone. Il Sahel, al confine meridionale del deserto del Sahara, è uno dei luoghi più poveri del pianeta ed una tra le aree più a rischio per via degli effetti dei cambiamenti climatici: siccità persistenti, mancanza di cibo, conflitti per la scarsità di risorse naturali. Tutto questo porta milioni di abitanti a considerare una migrazione di massa verso l’Europa.
Eppure questo progetto potrebbe dare un futuro diverso all’Africa. Dalla nascita dell'iniziativa la speranza di una nuova vita è diventata infatti più concreta, grazie anche ad una maggiore sicurezza alimentare garantita da terreni più fertili, posti di lavoro legati alla terra e maggiore reddito per le famiglie in grado di portare sia più stabilità nella regione, sia un freno all’emigrazione, ma soprattutto un sogno di pace nei paesi in cui i conflitti continuano ogni giorno a minacciare la popolazione. Come si può leggere nel comunicato sul sito ufficiale del progetto: “la Grande Muraglia Verde non è solo per il Sahel. È un simbolo globale per l'umanità che supera la sua più grande minaccia, il nostro ambiente mutevole. Ci dimostra che se possiamo lavorare con la natura, anche in posti impegnativi come il Sahel, possiamo superare le avversità e costruire un mondo migliore per le generazioni future”.
Il grande muro, anche se procede molto lentamente e solo il 15% è stato realizzato, è davvero un’opera immensa, maestosa (prevede infatti più di 8 miliardi di dollari per la sua realizzazione totale). Le piante scelte sono alberi di acacia per la loro resistenza e per l’enorme capacità delle sue radici di trattenere acqua nel suolo. Dopo dieci anni dall’avvio dell’iniziativa, è possibile tirare le prime somme. Così pian piano i pozzi che erano rimasti asciutti, si sono riempiti di acqua di nuovo, e intorno agli alberi è ora possibile fare altre colture. Adesso le foglie forniscono il compost necessario, la folta chioma degli alberi trattiene l’umidità dell’ambiente e offre un po’ d’ombra. Nel frattempo, però, la barriera sta davvero fermando il deserto. E rinverdendo i terreni. E riportando l’acqua. Lo dicono i geografi che stanno monitorando il Sahara e il Sahel, lo confermano le fotografie scattate dai radar. Nei paesi dove il progetto procede più spedito, ossia in Senegal ed Etiopia, intanto la desertificazione è stata arginata ed è migliorato lo sviluppo socio-economico delle comunità locali grazie alla creazione di nuove attività redditizie. La “grande muraglia verde” ha inoltre “recuperato” per l’agricoltura più di 20 milioni di ettari di terra degradata in Etiopia, Burkina Faso, Mali, Niger, Nigeria, Senegal e Sudan. Basti pensare che solo in Nigeria, ventimila contadini hanno finalmente un lavoro. Le colture presenti all’interno delle aree verdi sono le più varie: insalata, melanzane, peperoni, arance, cocomeri. Una manna per le comunità locali, che hanno visto l’intervento della cooperazione internazionale, fondamentale per favorire il rinnovamento delle tecniche agricole e il recupero delle coltivazioni autoctone. Un’orto rigoglioso e variopinto fatto di pomodori, melanzane, angurie e ciuffi verdi di lattughe, nonostante non sia questo il tipo di attività immaginato decenni fa in questi luoghi, sembra come un miracolo in quella che era una terra arida e difficile da coltivare (in questo caso prendiamo ad esempio il caso del villaggio di Koyli Alfa in Senegal) ed ora è una fonte importante di reddito per almeno trecento persone. Che questo ambizioso progetto si realizzi è cruciale non solo per l’ambiente e per l’Africa: la Great Green Wall è un simbolo di speranza, e, ad oggi, è la prima vera dimostrazione che gli effetti del cambiamento climatico si possono invertire.