Singapore anti sprechi. Innovazione e avanguardia
- by Greenthesis Group
- 18 giu 2020
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Singapore è una città modello nella lotta agli sprechi di acqua. Dovendo importare l’acqua dalla Malesia, con enormi costi in termini di bolletta energetica e di inquinamento, gli amministratori locali hanno fatto una scelta radicale. Meno sprechi, e più auto-produzione. Così, in pochi anni, sono entrati in funzione due grandi impianti di desalinizzazione che ogni giorno pescano dal mare e mettono nel circuito dell’acquedotto urbano la bellezza di 400 milioni di litri di acqua,. Inoltre a Singapore ci sono impianti, molto sofisticati da un punto di vista tecnologico, che catturano l’acqua piovana, e riciclano quella già utilizzata, per ottimizzare i consumi. E attraverso un sistema di filtri ultravioletti, diventa potabile perfino l’acqua degli scarichi dei bagni[1]. Ai cittadini, poi, si chiedono specifiche azioni civiche, ispirate al buonsenso e al contrasto degli sprechi. Per esempio: ridurre il numero dei lavaggi delle auto, e anche l’uso dell’acqua potabile per innaffiare i giardini. L’obiettivo è una metropoli più intelligente e meno sprecona[2].
Secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi due miliardi di persone, circa un quarto della popolazione mondiale, consumano acqua a un ritmo di gran lunga superiore a quello con cui la risorsa si rigenera. Gli esperti dicono che quasi metà di quella che arriva a Singapore proviene dal fiume Johor, in Malesia, grazie a una serie di accordi stipulati nel 1927. Quello in vigore scadrà nel 2061 e da anni alimenta dissapori tra i due paesi per via dei prezzi. La città-stato compra quasi quattromila litri d’acqua per 3 cent – meno di un decimo di centesimo di euro. Un prezzo “ridicolo”, secondo il primo ministro malese. Tanto più che Singapore la rivende purificata alla Malesia per 50 sen.
All’inizio di quest’anno i leader dei due paesi hanno accettato di valutare un arbitrato per mettere fine a uno scontro in corso da mesi. Conflitti di questo tipo sono sempre più frequenti in Asia, dove quasi metà della popolazione vive nei bacini idrografici di appena dieci fiumi. Tra questi, in quattro diminuirà sensibilmente la portata nei prossimi cinquant’anni, secondo il think tank China water risk.
“Continuiamo a parlare di quanto sia importante, ma il settore idrico è tra quelli in cui la cooperazione è più scarsa”, spiega Dechen Tsering, responsabile del programma per l’ambiente delle Nazioni Unite che si occupa di Asia e Pacifico. L’incertezza sulle importazioni delle risorse idriche e le piogge sempre più irregolari a causa del cambiamento climatico stanno spingendo Singapore ad aumentare la produzione di acqua, combinando risparmio, riutilizzo e tecnologie innovative. Dal 2006 il paese – tra i più ricchi del sudest asiatico – ha speso quasi mezzo miliardo di dollari per migliorarle.
“Quando vivevamo in Australia la nostra casa era molto vecchia e la temperatura dell’acqua non era costante”, racconta Adam Reutens-Tan, 42 anni, che vive insieme alla moglie e ai due figli in un palazzo residenziale nel distretto di Hougang. “Così ho acquistato una doccia da campeggio e ho cominciato a usarla sia d’estate sia d’inverno. Mi sono accorto che così riducevamo moltissimo il consumo”. La famiglia Reutens-Tan fa docce da cinque minuti, utilizzano l’acqua nebulizzata per lavare i pavimenti e cucinano i pasti in un’unica pentola per lavare meno cose. Ogni componente della famiglia usa una tazza per lavarsi i denti. La bolletta dimostra che i Reutens-Tan consumano meno di metà dell’acqua rispetto alla media di Singapore. “Siamo molto lontani dall’indipendenza idrica. Dipendiamo pesantemente dalla Malaysia”, spiega Adam, che il mese scorso ha partecipato con la famiglia a un corso per il risparmio delle risorse idriche. “Essere indipendenti è fondamentale”, spiega.
Questo è precisamente l’obiettivo di Singapore. L’amministrazione sta portando avanti uno dei progetti più ambiziosi a livello mondiale. Secondo i dati dell’agenzia idrica nazionale (Pub) il paese utilizza attualmente 1,95 miliardi di litri d’acqua al giorno, abbastanza da riempire 782 piscine olimpioniche. Il consumo delle famiglie rappresenta quasi metà del totale. Nei prossimi quarant’anni queste cifre rischiano di raddoppiare a causa della crescita della popolazione. Fin dall’indipendenza, mezzo secolo fa, Singapore ha riconosciuto l’importanza di diversificare l’approvvigionamento idrico. Oggi lo fa grazie a quattro “rubinetti nazionali”: le riserve piovane, il riciclo, la dissalazione e l’importazione. I tentativi di aumentare le riserve sono cominciati dieci anni fa con l’introduzione di sanzioni durissime per chi butta rifiuti nei fiumi e con la pulizia dei corsi d’acqua. Tutto questo in un paese dove un tempo si diceva che i ciechi potessero “vedere” i fiumi a causa del loro tanfo. Singapore ha investito molto anche in un sistema di dighe e drenaggio sotterraneo. Oggi nella città-stato ci sono 17 bacini che raccolgono la pioggia che cade su due terzi del territorio.
Il governo sta sperimentando l’utilizzo di contatori wireless che rilevano immediatamente un uso eccessivo o una perdita, e ha investito molto su cinque impianti di riciclaggio che attualmente forniscono il 40 per cento dell’acqua utilizzata nel paese. L’amministrazione spera che la percentuale possa arrivare al 55 per cento entro il 2060. In tutto il mondo un numero sempre maggiore di città ricicla le acque di scarico, ma la possibilità di riutilizzare ogni singola goccia dipende anche dalla risposta degli utenti, spiega Cecilia Tortajada, ricercatrice dell’Istituto di politica idrica dell’università nazionale di Singapore. Gli imprenditori sono felici di utilizzare l’acqua riciclata nelle loro industrie, ma non tutti sono entusiasti all’idea di berla.
Per incrementare ulteriormente le riserve, la città-stato rende potabile l’acqua del mare. Singapore ha inaugurato il primo impianto per la dissalazione nel 2005. Oggi gli impianti sono tre e altri due saranno costruiti entro il 2020. Secondo il Pub quelli attuali coprono il 30 per cento della necessità idrica della città-stato. Il processo prevede l’impiego di grandi quantità di energia, motivo per cui non è un metodo particolarmente diffuso. Tuttavia, grazie alle nuove tecnologie e alla crescita delle energie rinnovabili, il Pub ritiene di poter dimezzare la quantità di energia dedicata alla dissalazione. Oggi la possibilità che il paese diventi del tutto autosufficiente e interrompa l’importazione d’acqua non è più utopistica, sottolinea King Wang Poon, direttore del centro per le città innovative Juan Yew all’università di tecnologia e design di Singapore. “Quando abbiamo cominciato non pensavamo che sarebbe stato possibile arrivare al cento per cento”, sottolinea. “Ma considerando la maggiore disponibilità di energia solare per la dissalazione ci sono buone possibilità di raggiungere questo obiettivo entro il 2061”. Secondo Gabriel Eckstein, presidente dell’associazione internazionale per le risorse idriche, il principale ostacolo potrebbe essere il costo ridotto dell’acqua importata dalla Malaysia. “Sono convinto che già adesso Singapore avrebbe la possibilità di essere indipendente”, spiega. “Ma in questo momento non ha senso dal punto di vista economico”[3].
[1] Toilets to tap: dagli scarichi delle case, l’acqua finisce dapprima in una centrale di trattamento, un impianto di depurazione in cui vengono rimosse particelle solide e batteri. Il passo successivo porta l’acqua ad essere prima micro-filtrata, poi iper-filtrata attraverso un processo chiamato “osmosi inversa”, durante il quale la si pressa attraverso una membrana semi-permeabile, rimuovendo sali, virus e sostanze chimiche. Poi, in via precauzionale, l’acqua viene esposta ad alte intensità di raggi ultravioletti e perossido di idrogeno (acqua ossigenata), così da distruggere ogni traccia organica residua. In seguito, vi si aggiungono dei minerali, prima di scaricarla nel terreno o in laghi sia artificiali che naturali. Alcuni mesi dopo, e spesso dopo avere subito altri trattamenti che le facciano rispettare gli standard locali di qualità, l’acqua torna a zampillare nelle case da cui è arrivata.